di Jessica Purkiss

Ai palestinesi che lavorano sulla linea ferroviaria ad alta velocità tra Gerusalemme e Tel Aviv viene sottratto metà del loro stipendio dai procacciatori del lavoro, ha rivelato un'indagine di Electronic Intifada.

Si stima che circa 200 palestinesi lavorano nello scavo dei tunnel in Cisgiordania, come parte della cosiddetta Linea A1, il più grande progetto infrastrutturale di Israele nell’ultimo decennio.

Parlando a condizione di anonimato, alcuni di questi uomini hanno confermato di lavorare sottoposti ad un forte sfruttamento a Beit Iksa, un villaggio vicino a Gerusalemme, dove sono stati scavati due tunnel.

Un uomo dalla zona circostante ha detto che era stato reclutato da qualcuno ingaggiato per fornire i lavoratori al cantiere, il quale prende la metà dei suoi guadagni.

"È molto ingiusto, per il tipo di lavoro [che faccio,] prendo la metà di quello che prenderebbe un israeliano", ha detto il lavoratore. “Non mi danno un visto, o qualsiasi tipo di assicurazione. Eppure non ho scelta: lavorare in un cantiere dall'altra parte paga ancora di più di quanto potrei prendere in Cisgiordania".

Un altro lavoratore ha detto che, dei 600 shekel (Euro 120) incassati dal suo reclutatore israeliano, lui ne riceve solo 250 shekel (Euro 50) al giorno.

"Sono felice con il mio datore di lavoro," ha detto. "Nel negozio di mio zio, guadagnavo 1.500 shekel [Euro 300] al mese, ma nel tunnel guadagno 250 shekel al giorno. Sono costretto a lavorare per Israele, perché non posso guadagnare gli stessi soldi in Palestina", ha detto.

"Ma mentre guadagno di più, non ho l'assicurazione, se mi faccio male non ho prove – tipo documenti - per dimostrare che lavoro lì, visto che non sono registrato. Non ho nemmeno un permesso di lavoro per Israele".

I lavoratori hanno inoltre dichiarato che uno dei loro colleghi è stato folgorato mentre lavorava nel tunnel. Non gli furono dati soldi per coprire il suo ricovero in ospedale e non è stato pagato durante l’assenza dal lavoro a causa delle ferite. Anche se il lavoratore era tornato al suo lavoro dopo la folgorazione, l’ha lasciato poco dopo, probabilmente a causa di un disaccordo con il suo datore di lavoro.

Saccheggio

Le rivelazioni sulle violazione dei diritti dei lavoratori segue precedenti ricerche che hanno concluso che il percorso del progetto è illegale, dato che 6,5 chilometri della linea ferroviaria si snodano attraverso la Cisgiordania occupata, tagliando le terre in costante diminuzione di tre comunità palestinesi: Yalu, Beit Iksa e Beit Surik.

Who Profits from the Occupation? - un progetto di ricerca della Coalizione delle Donne per la Pace - sostiene che il tracciato della linea ferroviaria solleva tre questioni legali. La costruzione di una struttura permanente nei territori occupati non accessibile alle persone del posto, l'appropriazione ingiusta delle terre palestinesi per il cantiere e la vendita del materiale estratto dalla scavo dei tunnel in terra palestinese: azioni tutte che sono in violazione del diritto internazionale.

Israele ha coinvolto diverse aziende internazionali per la costruzione della linea ferroviaria. Mentre la colpevolezza di Israele è chiara, un recente parere legale dell’organizzazione palestinese per i diritti umani Al- Haq mette sotto il microscopio il ruolo delle imprese internazionali che traggono profitti dalla espropriazione delle terre in Cisgiordania.

Al-Haq sottolinea il ruolo della società italiana Pizzarotti, che sta realizzando lavori per dei tunnel in collaborazione con la società di costruzioni israeliana Shapir Civil and Marine Engineering. Il parere legale afferma che ci sono "fondati motivi" per ritenere la Pizzarotti responsabile di violazioni del diritto internazionale. Questi includono la distruzione di proprietà e il crimine di guerra di saccheggio, che sono illegali secondo la Quarta Convenzione di Ginevra e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.

"Politicamente sensibili"

La pressione da parte di organizzazioni per i diritti umani e di attivisti ha già portato al ritiro di alcune aziende internazionali dal progetto. Nel marzo 2011, la statale tedesca Deutsche Bahn si è ritirata dopo una campagna di pressione da parte di attivisti di Berlino.

Un portavoce della società ha commentato in una email: "Poiché DB [Deutsche Bahn] Internazionale ritiene il percorso della linea che lei cita discutibile in materia di diritto internazionale, abbiamo spiegato alle Ferrovie Israeliane che non possiamo partecipare a progetti politicamente sensibili come questo. Il nostro partner, le Ferrovie Israeliane, ha accettato la nostra posizione su questo tema. Questa decisione non ha alcun impatto su altri progetti tecnici o di ingegneria con le Ferrovie Israeliane e la nostra collaborazione è su base solida".

La coalizione italiana, Stop That Train, guida la campagna contro Pizzarotti. Diversi comuni - tra cui quello della terza città più grande d'Italia, Napoli - hanno approvato risoluzioni che condannano la condotta di Pizzarotti.

Pizzarrotti non ha risposto a una richiesta di commento.

Complicità

La complicità si estende anche ad altre società internazionali che traggono profitto dai contratti per il loro coinvolgimento nel progetto A1. Mosca Metrostroy, di proprietà della Federazione Russa, ha vinto un contratto del genere nel 2010.

I lavoratori che hanno parlato all’Electronic Intifada a Beit Iksa hanno detto che tutti i macchinari utilizzati per scavare i tunnel sono manovrati esclusivamente da russi e da italiani. I lavoratori hanno anche detto che alcuni australiani erano stati coinvolti nella formazione degli ingegneri per il progetto.

Grandi ponteggi utilizzati per cementare il tetto del tunnel a Beit Iksa portavano la targa Peri-up. Questa è un marchio del gruppo Peri, un gigante tedesco delle tecnologie di costruzione. Il sito del gruppo Peri non fa alcun riferimento ad un qualsiasi coinvolgimento della società nella ferrovia Gerusalemme - Tel Aviv .

Beit Surik e Beit Iksa sono i villaggi più colpiti dal percorso del treno. Entrambi hanno già perso grandi estensioni di terra. Beit Surik ha perso più del 30 per cento della propria terra a causa del muro israeliano in Cisgiordania.

Beit Iksa ha perso circa il 60 per cento del suo territorio per i vicini insediamenti israeliani e per il muro. Solo circa 600 dunum di terre del villaggio sono stati approvati per lo sviluppo (un dunam è di 1.000 metri quadrati). Circa 5.000 dunum ora rimangono bloccati in una "terra di nessuno" tra il paese e un insediamento israeliano nelle vicinanze.

"Qual è il futuro?"

Nel giugno 2010, l'ingresso principale del paese è stato chiuso. Oggi, il villaggio è accessibile solo attraverso un posto di blocco militare israeliano.

Mohammad Gaith, membro del consiglio del villaggio di Beit Iksa, ha dichiarato: "Abbiamo perso tanto – la terra, non possiamo piantare, non riusciamo nemmeno a visitare i nostri ulivi. Nel futuro potrebbero raccogliere tutti del villaggio e buttarli fuori. Qual è il futuro per il nostro paese?"

Gaith è stato informato del progetto A1 appena un mese prima che la costruzione iniziasse. Più di recente, ha scoperto che altri 800 dunum - in gran parte terre agricole – verranno confiscati a Beit Iksa dalle autorità israeliane.

Per caso, un abitante del villaggio ha trovato la notizia su Internet della nuova confisca in cui si indicava che gli interessati avrebbero avuto 60 giorni, a partire dalla data in cui la confisca era stata notificata, per presentare ricorso. Ma quando queste informazioni sono state trovate, il periodo per il ricorso era già passato.

Secondo Gaith, nessuna comunicazione ufficiale è stata data per questa confisca.

Un altro residente di Beit Iksa riassume lo stato d'animo prevalente nel villaggio: "Ci sentiamo come se fossimo seduti in una prigione."

Fonte: Electronic Intifada

Traduzione di BDS Italia