LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Il 30 marzo, nel pieno dell'esordio dell' epidemia da COVID-19, i palestinesi hanno commemorato la 44a Giornata della Terra e il 2° anniversario della Grande Marcia del Ritorno, due pietre miliari nella storia della loro resistenza all'occupazione israeliana. A causa delle restrizioni introdotte nell'ambito della pandemia, la commemorazione ha avuto luogo nel mondo virtuale tramite Twitter Storm (invio di post in grande numero su Twitter, N.d.T.) e i raduni online.

L'epidemia, tuttavia, ha anche messo a nudo l'impatto della repressione, dell'apartheid e del blocco dell'assistenza sanitaria palestinese da parte di Israele. La regione affronta attualmente una grave carenza di strutture infrastrutturali di base e attrezzature di protezione necessarie per affrontare la diffusione del COVID-19, compresi posti letto in terapia intensiva, ventilatori, medicinali e dispositivi di protezione. L'amministrazione israeliana, che è "legalmente" responsabile dell'assistenza sanitaria dei palestinesi, ha chiuso un occhio sulla catastrofe causata dalle sue stesse azioni. Ciò in aggiunta all'abuso inflitto agli abitanti di questa regione sotto forma di violenza della polizia e politiche discriminatorie di quarantena.

In questa intervista, Mukulika R dell'Indian Cultural Forum parla con l'attivista Maren Mantovani sull'attuale situazione in Palestina, sull'unità e la solidarietà dei palestinesi in pieno caos, sui tentativi di Israele di influenzare l'industria cinematografica hindi, sul COVID-19 nel Sud del mondo e su altro ancora.

Mukulika R (MR): emerge da vari rapporti che i palestinesi sono alle prese con una grave carenza di posti letto in terapia intensiva, kit di test, ventilatori e altre strutture mediche. È anche chiaro che il blocco da Israele-Egitto, che limita la fornitura di tali articoli al territorio palestinese, ha ulteriormente aumentato lo stato di emergenza. In effetti, la crisi sanitaria in Palestina, come comprendiamo, ha una lunga storia fatta da ingiustizie e assoluta discriminazione. Questo, ovviamente, oltre alla mancanza di un regolare approvvigionamento di elettricità e carburante. Potresti approfondire questo aspetto e dirci anche come i palestinesi stanno combattendo il COVID-19 avendo a che fare con l'apartheid? Come è stata la vita nei territori occupati dall'avvento dell'epidemia?

Maren Mantovani (MM): La pandemia da COVID-19 sta portando più che mai alla luce le politiche razziste e disumane di Israele ed è diventato il paradigma di un "corona-razzismo". L'apparato dell'oppressione coloniale preesistente influenza evidentemente il modo in cui i palestinesi sono costretti a vivere la pandemia. A parte la maggior parte dei palestinesi che oggi sono rifugiati, molti dei quali non vivono più in Palestina, quelli che hanno potuto rimanere nella loro patria risentono in modi diversi dell’epidemia da COVID-19

A causa dell'assedio disumano in corso e dei ripetuti massacri che hanno ridotto in frantumi la minuscola Striscia di Gaza occupata, senza possibilità di ristrutturazione o costruzione di infrastrutture e servizi efficienti, i palestinesi non hanno accesso ad attrezzature mediche, hanno esaurito i kit di test e vivono una grave carenza di posti letto in terapia intensiva. Nella Cisgiordania occupata la principale minaccia viene, al momento, dal fatto che Israele sta approfittando del blocco per intensificare drammaticamente i suoi brutali attacchi contro i palestinesi, con uccisioni e arresti quasi quotidiani, e per far avanzare rapidamente le sue politiche di annessioni, sottrazioni di territori ed espulsioni del popolo palestinese al fine di attuare il piano presentato dall'amministrazione Trump nel cosiddetto "Accordo del Secolo", la piena ghettizzazione del popolo palestinese in piccole enclavi. Gli attacchi dei coloni sono in aumento. Le demolizioni di case continuano anche in un momento in cui le persone dovrebbero essere messe in quarantena a casa. È stata persino distrutta una clinica nella valle del Giordano. Oggi i palestinesi si trovano in una situazione devastante, in cui devono scegliere tra aderire a misure di prevenzione per salvaguardarsi dal COVID-19 o continuare, contro ogni probabilità, la resistenza popolare collettiva. In ogni caso rischiano la vita.

Il corona-razzismo israeliano è anche visibile nel loro trattamento dei lavoratori palestinesi. Mentre ai lavoratori israeliani è stato chiesto di rimanere a casa per settimane, circa 55.000 lavoratori palestinesi sono stati costretti a non recarsi a casa ma a rimanere per almeno un mese sul posto di lavoro in condizioni per lo più disumane, senza accesso alle elementari misure di igiene o ai dispositivi di protezione. Agiscono come forza lavoro economica e a portata di mano per mantenere a galla l'economia israeliana. Nel caso in cui si sospetti che abbiano contratto il COVID-19, vengono spesso portati in Cisgiordania e letteralmente scaricati dall'altra parte dei posti di blocco militari.

MR: Sin da quando il virus è dilagato, ci sono state proteste e richieste in diversi paesi perché venissero liberati i detenuti a causa del sovraffollamento e di altre squallide condizioni nelle carceri. Di recente, l'attivista-romanziere Ahdaf Soueif e altri, che chiedevano il rilascio dei prigionieri politici egiziani nel tentativo di contenere il rischio di diffusione del virus all'interno delle carceri, sono stati arrestati al Cairo. Anche a Gaza, gruppi per i diritti umani hanno fatto le stesse richieste all'amministrazione israeliana, soprattutto dopo l'informazione che un diciannovenne di Beitunia aveva recentemente contratto il COVID-19 in prigione. Quale è stata la risposta del governo al riguardo? Quanto è importante questo problema e qual è la condizione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane?

MM: La richiesta di liberazione dei prigionieri palestinesi e la preoccupazione per il loro (almeno relativo) benessere sono sempre fondamentali. Non solo praticamente tutte le famiglie palestinesi hanno un loro caro in prigione o hanno qualcuno che abbia subito un periodo di detenzione, ma la liberazione dei prigionieri è sempre stata al centro delle lotte di liberazione nazionale.

Il COVID-19 ha drasticamente peggiorato la situazione dei prigionieri. Questi sono ora minacciati non solo dai loro carcerieri, ma anche dal rischio di contrarre il virus. Le condizioni di detenzione comprendono insetti, umidità, assenza di una adeguata ventilazione, sovraffollamento, mancanza di misure per garantire l'igiene pubblica e personale e la mancanza della corretta alimentazione necessaria, il che rende le prigioni israeliane pericolose aree di incubazione del COVID-19 e aggrava sicuramente la vulnerabilità dei prigionieri palestinesi.

Le autorità israeliane di occupazione hanno escluso 5.000 prigionieri palestinesi dalle misure di emergenza atte a contenere e mitigare la pandemia. L'amministrazione carceraria israeliana ha deciso di tagliare la fornitura di disinfettanti e altri materiali igienici per le mense, vendendo ai prigionieri i prodotti. Inoltre, con il pretesto della pandemia da COVID-19, anche tutte le visite di familiari e avvocati sono state sospese. Ora più che mai è il momento in cui i prigionieri palestinesi devono essere rilasciati.

MR: Le atrocità della polizia sono meramente aumentate in molte regioni del mondo sottoposte alla quarantena. In India, ci sono stati diversi episodi di attacchi da parte della polizia contro comuni cittadini. Sono apparsi numerosi video di operatori sanitari in Kashmir picchiati da truppe paramilitari perché lavoravano durante le ore di quarantena; un uomo è stato ucciso nel Bengala Occidentale in seguito a presunte aggressioni da parte della polizia. Sono anche emerse notizie su palestinesi attaccati dalla polizia israeliana con il pretesto delle restrizioni per il COVID-19. A questo proposito, potresti spiegare in che modo l'epidemia e le conseguenti normative governative imposte si ripercuotono sui palestinesi che vivono sotto l'occupazione?

MM: Israele continua ad arrestare e attaccare i palestinesi non a causa di COVID-19, ma in quanto palestinesi. Le incursioni militari continuano nonostante la pandemia. I palestinesi continuano a essere uccisi mentre aumentano gli attacchi dei coloni. Il recente arresto del governatore palestinese di Gerusalemme è stato addirittura motivato ufficialmente dal fatto che si fosse impegnato in "attività politica".

Uno degli aspetti più preoccupanti della repressione israeliana, tuttavia, è l'espansione del suo regime di sorveglianza ad alta tecnologia. Israele ha a lungo usato il popolo palestinese come laboratorio per ogni tipo di tecnologia di sorveglianza, che viene poi commercializzata a livello mondiale come "testata sul campo". Questa spazia dai droni alla tecnologia di riconoscimento facciale e molte forme di spyware. Durante questa pandemia, Israele ha coinvolto il suo temuto Shin Beit, l'agenzia di intelligence militare, nel monitoraggio su larga scala delle persone, apparentemente per impedire la diffusione del virus. Il ministro della difesa israeliano, con l'utilizzo della tecnologia del gruppo NSO mira a valutare ogni cittadino attraverso una scala di probabilità di infezione tra 1 e 10. La società israeliana di tecnologia informatica è diventata famosa a livello mondiale per la sua pirateria informatica e spionaggio attraverso il malware Pegasus, che è stato utilizzato in India contro difensori dei diritti umani e giornalisti. Tra l'altro, Pegasus ha contribuito all'uccisione nel 2018 di Jamal Kashoggi nell'ambasciata [dell'Arabia Saudita, N.d.T.] in Turchia.

Sebbene non vi siano prove che la sorveglianza di massa e le operazioni di spionaggio possano contenere le pandemie, il COVID-19 mostra che le pandemie possono mettere a tacere le richieste legittime di protezione della privacy e rispetto dei diritti umani. Mentre i governi e le aziende usano la pandemia per legittimare i loro paradigmi e i loro metodi repressivi, Israele è in prima linea in questa strategia.

MR: L'amicizia del Primo Ministro indiano Narendra Modi con Benjamin Netanyahu è ben nota. Nel pieno della pandemia, il governo indiano ha firmato un accordo con Israele per l'acquisto di armamenti per un valore di milioni di dollari, mettendo a nudo le loro priorità anche di fronte a una crisi globale. Pensi che l'India sia sulla buona strada per diventare un altro Israele?

MM: Perché l'India diventi un altro Israele, dovrebbe riavvolgere la storia e affermarsi come progetto di colonizzazione sulla terra di un altro popolo, anziché essere il risultato di una lotta anti-coloniale.

Tuttavia, questa "speciale amicizia" tra Israele e il governo Modi va oltre i trasferimenti di armi e di tecnologia, che sono avvenuti anche sotto precedenti gestioni politiche. Il fatto che l'India sia diventata recentemente la destinazione di metà delle esportazioni complessive di armi di Israele crea in sé una profonda complicità con l'apartheid israeliano. Il denaro pubblico dell'India sta attualmente sostenendo gran parte della capacità di Israele di mantenere la sua occupazione, finanziando il suo complesso militare-industriale.

Il governo pro-Hindutva [ala fondamentalista di destra] sta adottando più che mai i paradigmi e le metodologie di Israele per far avanzare il proprio progetto suprematista. Come stato (soltanto) per gli ebrei, Israele ha sviluppato innumerevoli politiche per promuovere gli interessi di un gruppo di persone rispetto all'altro. Il governo Modi deve adattare alla realtà indiana di una democrazia secolare ancora presente questi strumenti, che sono ogni giorno innegabilmente più presenti in India, minando la costituzione.

Sebbene l'India avesse regole per proteggere il Kashmir dalle ingerenze demografiche, dalla scorsa estate le politiche in stile israeliano, sviluppate durante il processo di colonizzazione e insediamento nei territori occupati palestinesi, vengono sistematicamente portate avanti nel Kashmir. L’ultima trovata di un Registro Nazionale dei Cittadini (NRC) e della Legge di emendamento della Cittadinanza (CAA) ci ricordano la "Legge del ritorno" di Israele, che estende i diritti di cittadinanza immediata agli ebrei, escludendo i rifugiati palestinesi dal loro diritto al ritorno.

Nel pieno della pandemia, il governo Modi non è interessato solo alle armi israeliane. Delle notizie riportano che il suo governo sta discutendo con Israele "l'uso innovativo dell'alta tecnologia"  col pretesto di combattere il COVID-19. Nel quadro che ho spiegato in precedenza, ciò si traduce nell'uso della sorveglianza di massa. Considerando che il gruppo israeliano NSO, lo sviluppatore dello spyware Pegasus, ha già operato in India e ora sostiene che sarebbe in contatto con diversi governi per espandere l'uso della sua tecnologia come meccanismo di risposta al COVID-19, ci si deve preoccupare che questa pandemia possa vedere Israele e l'India lavorare insieme intensamente per aumentare la sorveglianza di massa.

MR: Bollywood [l'industria cinematografica hindi] è stata coinvolta da Israele nel tentativo di dissimulare l'occupazione. A tale proposito, Netanyahu ha incontrato attori e produttori a Mumbai nel 2018, ha offerto incentivi fiscali per girare in Israele, si è offerto di investire in film hindi e ha organizzato anche il TLV Indo Fest a Tel Aviv lo scorso anno. Il movimento BDS, al quale sei associata, si era anche incontrato con alcuni di loro nel 2018, per contrastarlo e per diffondere la consapevolezza sui diritti della Palestina. Qual è la logica che sta dietro Netanyahu a Bollywood e i suoi sforzi hanno avuto successo? Quale ruolo possono svolgere gli artisti indiani nel promuovere la causa palestinese e perché?

MM: La logica è semplice ed è stata dichiarata dallo stesso governo israeliano. Durante un viaggio di propaganda a Mumbai, Michael Oren, in qualità di alto rappresentante del governo israeliano di estrema destra, ha invitato i produttori di Bollywood a investire in Israele. Ha ammesso che lo scopo della sua visita fosse "combattere il BDS". Israele si è sicuramente fatto strada a Bollywood, soprattutto tra quegli attori e produttori che sostengono l'attuale regime e/o l'ideologia Hindutva, poco sorprendentemente. 

Tuttavia, il movimento BDS ha visto delle vittorie significative. Due festival cinematografici indiani che si dovevano tenere in Israele sono stati cancellati e molti personaggi della cultura hanno parlato chiaramente dei diritti dei palestinesi e del BDS.

Molto prima che Israele iniziasse la sua offensiva su Bollywood, l'iniziativa indiana sul boicottaggio accademico e culturale aveva già lavorato attivamente. Non sottovalutando il potere e l'importanza dei movimenti di massa, il ruolo degli accademici e delle arti nel contribuire alla costruzione e all'espressione di valori e idee è fondamentale. Sostenere la convinzione di base che non si dovrebbe fare del male agli altri e non essere complici della propaganda del regime israeliano dell'apartheid è per artisti e accademici un compito cruciale da perseguire.

MR: Sicuramente c'è una pressione accentuata sul Sud del mondo a causa della pandemia da COVID-19. Considerando l'analogia delle disuguaglianze strutturali prevalenti in quest'area, quale risposta unitaria può venire da qui per combattere la diffusione della pandemia? Ci sono già degli sforzi in corso di cui potresti parlarci?

MM: La diffusione di COVID-19 e le reazioni dei governi hanno portato alla luce tutte le ingiustizie e le disuguaglianze esistenti. In questo periodo non solo in Palestina ma in tutto il mondo vengono chiusi i confini ed innalzate le barriere. Queste sono persino più alte e più militarizzate di prima. Non si ferma il virus uccidendo gli esclusi.

Le barriere ideologiche stanno crescendo alla stessa velocità. Il nazionalismo suprematista e il razzismo, le idee che intere popolazioni potrebbero essere sacrificabili stanno venendo allo scoperto mentre il virus si diffonde. Questa è esattamente la struttura ideologica su cui si è costruita l'apartheid israeliana e il suo progetto di stato coloniale.

La realtà di un mondo in cui alcuni devono essere salvati ed altri esclusi, la necropolitica pervasiva, si manifesta in tutta la sua crudeltà non solo in Palestina ma in tutto il Sud del mondo. Il COVID-19 ci ha senza dubbio affidato il peso di una battaglia, molto più grande della crisi sanitaria che ha provocato. Le ingiustizie economiche, politiche e sociali stanno emergendo e le crisi sono momenti di cambiamento. Per non andare verso la proliferazione dei paradigmi, delle metodologie e tecnologie israeliane, e verso un mondo in cui sempre più persone vengono isolate ed escluse dal sistema, dobbiamo agire ora. Dobbiamo vincere la battaglia delle idee e costruire una narrazione potente, interconnettere le nostre lotte e costruire il potere per un'azione efficace.

Nel 2017 i movimenti palestinesi e messicani hanno lanciato l'iniziativa per un #WorldWithoutWalls, un impegno persistente per mettere insieme quelli che si trovano dalla parte "sbagliata" delle barriere della necropolitica al fine di abbattere i muri fisici e virtuali e per riunire movimenti e idee, oltre i muri. Questo tipo di sforzi sono oggi più importanti e urgenti che mai. Le numerose dichiarazioni congiunte, le conversazioni e i seminari online stanno sicuramente contribuendo a questo obiettivo di costruire una narrazione potente e chiara, un coordinamento e una forza d'azione a livello globale. Non sono sicuro che possiamo ottenere una rottura radicale rispetto al passato - che sarebbe l'unico vero rimedio - ma abbiamo l'obbligo di garantire che questa pandemia non ci conduca verso la barbarie.

Uno dei principali impegni comuni che possiamo sviluppare è la richiesta di investimenti nell'assistenza sanitaria e non nella guerra. Non sono le armi israeliane o la sorveglianza israeliana dei cittadini a combattere il virus, ma la medicina. Ora più che mai, è tempo di smettere di finanziare il complesso militare-industriale di Israele e promuovere invece più uguaglianza, più diritti, più solidarietà e cure.

MR: Per finire, hai riscontrato qualcosa che ispiri fiducia in seguito alla diffusione della pandemia in Palestina? Forse, l'unità dei palestinesi alle prese con una molteplicità di crisi?

MM: L'unità, l'incredibile velocità e determinazione con cui le organizzazioni popolari palestinesi hanno adottato dei provvedimenti per consentire la protezione delle persone dal virus e dalle difficoltà da esso create, specialmente di fronte all'occupazione israeliana, dovrebbero essere fonte d'ispirazione per tutti noi. Fin dal primo giorno, Stop the Wall, insieme a reti popolari e comitati locali, hanno organizzato azioni per diffondere la solidarietà durante la pandemia. I gruppi si prodigano ogni giorno dal nord al sud della Cisgiordania, portando disinfettanti e sostegno alle comunità che sono già indebolite e sotto il quotidiano attacco dell'occupazione israeliana.

A Gaza, i sarti e le aziende di abbigliamento stanno lavorando su maschere facciali e gli ingegneri hanno persino sviluppato una macchina di ventilazione a partire dai pochi pezzi di ricambio disponibili nella Striscia assediata. I palestinesi, con la loro esperienza, hanno dato una risposta immediata: l'organizzazione del sostegno reciproco e della solidarietà. Penso che questa semplice storia di fermezza sul campo ci dia un messaggio fondamentale: abbiamo bisogno di solidarietà, non di complicità.

Maren Mantovani è coordinatrice internazionale per la sensibilizzazione della Palestinian Grassroots Anti-Apartheid Wall Campaign [Campagna Popolare Palestinese Contro il Muro dell'Apartheid], di Stopthewall.org e di Palestinian Land Defense Coalition [Coalizione per la Difesa della Terra Palestinese].

Mukulika R è membro del Editorial Collective at Indian Cultural Forum [Collettivo Editoriale dell'Indian Cultural Forum], Nuova Delhi.

Fonte: Newsclick

Traduzione di BDS Italia